L’orco in cameretta, l’inchiesta sul lato oscuro della rete
Cristina Obber: "L'età dei bambini adescati in rete si è abbassata. Serve l'educazione digitale e sesso-affettiva, nelle scuole e tra gli adulti". Questo e altro nel numero di oggi!
Mi ero alzata da un’oretta e stavo cercando di capire i motivi per cui il laboratorio di lettura consapevole e disegno creativo per bambini e bambine dai 5 ai 10 anni, con la scrittrice Anna Agata (trovi l’intervista qui), non avesse raggiunto il numero minimo di iscrizioni.
Complice il mio approccio mindful, non definisco mai fallimentari le iniziative che non decollano. Ogni progetto che non va in porto diventa per me un’occasione per apprendere e per allargare ulteriormente lo sguardo. Di solito mi chiedo che cosa posso fare di diverso e se sia meglio continuare su quella rotta oppure spostare il mio focus.
Quella mattina, però, ero molto dispiaciuta. I miei pensieri si facevano sempre più cupi e limitanti, come le nuvole che vedevo sopra di me mentre ero in auto con mio figlio, diretta verso la sua scuola. Lo osservai per un solo istante, il tempo di non perdere il controllo del veicolo. Emanuele è una spugna. Io e suo padre siamo come acqua.
Allora mi tornarono in mente i motivi per cui, meno di un anno prima, avevo accettato la proposta della sartoria Il filo di Arianna di Fontanarosa (Avellino), con cui tenni il primo laboratorio di lettura consapevole per bambine e bambini. Era stato proprio mio figlio a darmi la spinta necessaria ad aderire al progetto delle mie amiche sarte, Gina e Arianna. Un’iniziativa che ho poi sentito talmente in linea con i miei ideali da volerla riproporre di nuovo — in una formula un po’ diversa, mio malgrado senza il cucito (quanto mi è mancata Arianna!) , e con la collaborazione degli scrittori per l’infanzia della casa editrice Il Papavero di Martina Bruno.
Quella mattina, dopo aver lasciato mio figlio a scuola, sentii alla radio la notizia che il governo aveva cancellato l’educazione sesso-affettiva nella scuola italiana, dall’Infanzia fino alla Secondaria di primo grado. Il provvedimento è stato varato perché, come vedremo, tra i conservatori esiste l’opinione diffusa che ci sia una sorta di “Teoria gender” mirata a eliminare la differenza biologica tra i sessi.
In realtà, la cosiddetta “Teoria Gender” è un’espressione politico-mediatica nata nel 2010, senza alcun fondamento scientifico o accademico, e viene usata per denigrare progetti educativi o culturali legati alla parità, all’inclusione e all’educazione affettiva. Sarebbe invece più corretto parlare di gender studies: studi scientifici interdisciplinari su identità, ruoli e disuguaglianze di genere nati in ambito universitario, con obiettivi conoscitivi e sociali.
L’educazione sesso-affettiva è strettamente collegata all’educazione emotiva: si propone di aiutare i bambini e i ragazzi a entrare in relazione con l’altro in modo sano, partendo dall’ascolto delle proprie emozioni e sviluppando l’empatia, che è essenziale per prevenire la violenza di genere.
Ai bambini e agli adolescenti viene insegnato tra le altre cose che ogni persona ha un proprio spazio vitale, oltre il quale non si può andare, senza il suo consenso. Si tratta di una linea immaginaria che tutela i corpi. Il bambino impara a conoscere il proprio corpo, dando un nome all’eventuale disagio che potrebbe provare in certe circostanze e alle proprie emozioni, imparando al contempo che può chiedere aiuto ad adulti competenti se si presentano situazioni che gli creano disagio. E questo è un modo molto efficace per prevenire abusi.
Se affidato a personale qualificato, non ideologizzato, questo tipo di approccio può diventare un grande strumento di prevenzione.
Ho voluto saperne di più intervistando Cristina Obber, scrittrice, formatrice e giornalista, che da anni si occupa di pari opportunità, stereotipi e violenza di genere.
Obber ha scritto diversi libri, tra cui il romanzo per adolescenti Ci vediamo in chat (Piemme) e il saggio L’orco in cameretta (Solferino).
Cristina Obber, l’intervista
Benvenuta Cristina.
Grazie Maria.
Cristina, quando ha sentito nascere in sé la vocazione per la scrittura giornalistica e per la formazione legata a temi di genere?
Ho sempre amato scrivere, sin da bambina, ma la spinta a occuparmi di violenza di genere è arrivata nel 2010. Avevo ascoltato la notizia di uno stupro di gruppo tra minori e, avendo due figlie da poco uscite dall’adolescenza, mi sono chiesta come potesse un ragazzo così giovane commettere un crimine tanto atroce su una sua coetanea. Ho cercato di capire e ho cominciato a fare delle ricerche. Da lì mi sono state chiare molte cose.
Lei coordina diversi progetti educativi nelle scuole di ogni ordine e grado. Spesso, quando accadono episodi di violenza, mi capita di leggere centinaia di commenti di persone adulte che definiscono gli adolescenti di oggi viziati, irresponsabili e irrispettosi. È davvero così? Qual è la sua percezione?
Non sono più irrispettosi o irresponsabili di come eravamo noi alla loro età. Ciò che è cambiato, rispetto agli anni Settanta e Ottanta, è la disponibilità di mezzi che i ragazzi hanno a disposizione per vivere le proprie relazioni. Credo che il problema grande sia la mancanza di accompagnamento all’uso della tecnologia, perché anche gli stessi adulti non sono educati a un uso consapevole dei dispositivi. La violenza di genere è sempre esistita, ma oggi abbiamo la percezione che i casi siano aumentati perché arrivano alla cronaca nazionale, mentre un tempo rimanevano nel locale. Questa forma di violenza si è spostata online. La rete non ha inventato nulla: ha solo offerto nuovi strumenti. Va poi detto che la velocità con cui si entra e si agisce in rete ci toglie il tempo della scelta e della riflessione, che noi adolescenti degli anni Settanta avevamo.
In un contesto del genere il Governo decide di eliminare l’educazione sesso-affettiva dalle scuole, fino alle medie…
Penso che sia anacronistico. Questo provvedimento è il simbolo dell’incompetenza di una certa politica che, di fronte a fenomeni che non conosce, preferisce sorvegliare e punire anziché assumersi la responsabilità di educare. Ma il provvedimento non stupisce perché è in linea con gli obiettivi di questo governo.
Che cos’è l’educazione sesso-affettiva e perché fa così paura?
Per perseguire degli obiettivi bisogna andare per step, e uno di questi è indurre un bisogno. Dal 2015 ad oggi c’è stata la campagna antigender, abbastanza delirante per chi sa cosa significhi “gender” e “genere”, ma molto efficace perché i genitori si occupano di altro e quindi si sono impauriti. Così hanno alzato le difese di fronte a campagne mediatiche che creano paura perché parlano alla pancia delle persone. Dopo aver preparato il terreno, è arrivato questo divieto. I genitori, invece, dovrebbero essere i primi a voler parlare ai figli, insieme alla scuola, di sessualità e di emozioni, per facilitare lo sviluppo di relazioni sane, anche sessuali. Al contrario, abbiamo demandato a internet l’educazione sessuale e affettiva dei nostri figli. Sul web si trovano adescatori sessuali, misogini… che, grazie alle mancanze di noi adulti, trovano un bacino sempre più grande.
Lei nel suo nuovo libro L’orco in cameretta affronta temi delicatissimi. Come nasce questo nuovo progetto e quale messaggio ha voluto trasmettere?
Nel 2012 sono entrata in carcere in una sezione dei sex offenders, con il criminologo Paolo Giulini e la sua équipe, quando mi occupavo di violenza sessuale. Nel 2023 sono entrata nuovamente in carcere con la stessa équipe e mi sono accorta che c’erano stati dei cambiamenti. Ho visto che gli adescatori sessuali online erano giovani e numerosi. Io non avevo idea dell’entità del fenomeno e ho deciso di spostare il focus della mia ricerca sull’adescamento sessuale online, sul quale c’era un silenzio mediatico e istituzionale assordante.
La fascia d’età più colpita in Italia è 10-12 anni e, dopo la pandemia, ci sono stati i primi casi di 8-9 anni. Ovviamente questo materiale che gli adescatori sessuali hanno a disposizione a volte è ad uso privato, ma nella maggioranza dei casi entra nelle reti di acquisto internazionale di materiale pedo-pornografico. Io ho ascoltato gli adescatori e ho parlato sia con chi lavora con loro, sia con chi opera con le vittime, per capire come mai queste tecniche siano così efficaci e perché ragazzi e ragazze non chiedano aiuto ai genitori quando sono costretti a fornire materiale pornografico.
Quando ho scoperto tutto questo, ho sentito un bisogno viscerale di dare strumenti per accedere alla rete con la capacità di riconoscere il pericolo e di neutralizzarlo. Così prima ho scritto il romanzo “Ci vediamo in chat” pubblicato con Battello a Vapore, e poi “L’orco in cameretta” con Solferino che si rivolge agli adulti, perché in questo silenzio mediatico e istituzionale noi adulti ce ne stiamo a casa con la porta chiusa a chiave per evitare che estranei entrino, mentre lasciamo che nelle camerette dei nostri figli entrino centinaia di persone. È un paradosso. La cameretta non è un luogo sicuro. Non abbiamo genitori irresponsabili, abbiamo adulti che non sanno!
La parola per lei è al tempo stesso strumento e responsabilità. Cosa significa parlare con consapevolezza in un mondo che sembra urlare ma non comunicare, né ascoltare?
Per me vuol dire riprenderci la nostra autorevolezza di adulti curiosi.
La ringrazio.
Grazie a lei.
Alla luce di quanto detto da Cristina Obber continuare a proporre percorsi sesso-affettivi seri nelle scuole, con attenzione e consapevolezza, ha più senso che mai! Io, da mamma, da giornalista indipendente e divulgatrice culturale che fa della consapevolezza lo strumento principale per combattere le ingiustizie e i soprusi, mi chiedo come mai le Istituzioni e soprattutto le reti mainstream non alzino i riflettori su questi temi che invece vengono tenuti nascosti, forse per mancanza di appeal o peggio ancora per opportunismo, salvo poi sbattere il mostro in prima pagina quando si verificano violenze e femminicidi. Personalmente mi impegnerò in questa newsletter a dare sempre più visibilità a tematiche poco discusse, perché per me anche ciò che non si vede esiste e plasma la nostra realtà più di quanto crediamo.
Amata, il film con Stefano Accorsi e Miriam Leone
“Signora, mi dia un biglietto per Amatissima”, ho detto al box office alla storica proprietaria del Cinema Carmen di Mirabella Eclano. Lei mi ha guardata, chiamandomi per nome, e mi ha detto: “Ok Maria, un biglietto per Amata”. Ho pagato, ho preso il biglietto e mi sono avviata verso la sala. Poi ho capito di aver avuto un lapsus. “Amata! Amatissima è il romanzo di Toni Morrison”. Il motivo per cui io abbia avuto quel lapsus dovrebbe spiegarmelo Freud in persona, perché io lo ignoro. Di Amatissima ho scritto qui: è un romanzo viscerale, al femminile, che mi ha creato tensione, non è stata una lettura facile e non certo per la forma. Neanche Amata è stato un film semplice, e anche qui non per lo stile. La regista Elisa Amoruso non gira film con taglio ostico, le sue sono pellicole moderne e dinamiche, con immagini fluenti, primi piani accattivanti.
In questo lungometraggio Amoruso affronta il tema della maternità intersecando due storie che hanno parlato sia alla diciannovenne che ero, sia alla quarantenne che sono. Da ragazzina immaginavo di avere i miei due figli non oltre la trentina, eppure io ho avuto il mio primo bambino a 36 anni e oggi che ne ho quasi 44 sono consapevole di non essere più nell’età giusta per averne altri. A diciannove anni vivevo a Roma, pensavo solo a laurearmi e sognavo di fare carriera nel giornalismo culturale.
I figli non erano nei miei piani e non lo sono stati negli anni avvenire, nemmeno quando a 28 anni mi sono sposata. All’epoca scrivevo per il quotidiano Ottopagine, collaboravo con scuole del territorio per progetti vari, ed ero attiva anche in rete, dove avevo creato il mio blog. Poi, fui chiamata a dirigere XD Magazine, un free press locale. L’esperienza durò due anni. Nel 2012 lasciai il giornalismo territoriale e trasformai il mio blog in una testata online di cultura, a taglio nazionale. Fu una svolta, e un rischio. Accantonai così definitivamente i miei propositi adolescenziali di avere un figlio entro i trenta. Non voglio tediarvi con la mia storia, vengo al dunque. Amata parla alle Millennials, è innegabile. Solo noi possiamo comprendere il dissidio che vive Maddalena (Miriam Leone), un’ingegnera affermata che sta cercando di avere il suo primo figlio a quarant’anni con Luca, il marito pianista (Stefano Accorsi). Ma, al terzo aborto spontaneo, dovrà arrendersi all’evidenza di non poter avere un figlio biologico. Con tante difficoltà e un’emotività che non riesce a gestire, Maddalena e suo marito fanno richiesta di adozione. Tutto questo mentre conosciamo la storia di Nunzia (Tecla Insolia), una ragazza di diciannove anni che dalla Sicilia si è trasferita a Roma per studiare e realizzare i suoi sogni. Ma Nunzia resta incinta.
Maddalena e Nunzia si fanno da specchio, l’una rimanda all’altra in un circolo di scelte dolorose e rimpianti. Nel mezzo c’è la bimba che nascerà.
Un film molto toccante, tratto dal libro di Ilaria Bernardini che ha scritto la sceneggiatura del lungometraggio.
Forrest Gump: un film che ci insegna a vivere con attenzione e consapevolezza
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